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Raccontare il presente, capire il futuro

L’editoriale di Gino Finelli: «Un copione visto e rivisto»

DiRedazione Procida

Apr 27, 2021

Gino Finelli – Procida una capitale della cultura senza cultura?  E non mi riferisco alla sua storia o alla sua immensa e ricca narrazione di gesta delle sue genti, non mi riferisco al suo patrimonio di scrittori, poeti e letterati che l’hanno amata e descritta, ma alla incapacità di riuscire ad uscire fuori dallo stereotipo, oramai divenuto radicale, di considerare il territorio come una sorta di paese al di fuor e al di sopra delle leggi e delle regole del comune senso civico. Non si può e non si deve, a mio parere, continuare ad usare un copione visto e rivisto, quello cioè di trovare ogni forma di escamotage difronte a palesi incapacità di gestione della macchina pubblica e alla mancanza totale di progettualità e di potere decisionale. Difronte all’ennesimo episodio di illegalità, perpetrato a danno del territorio, non avendo saputo impedire la violazione, avendo, come sempre è accaduto, chiuso gli occhi, si corre ai ripari contestando un provvedimento che non ci sarebbe mai stato se si fosse proceduto secondo regola e/o concessioni ed effettuando i dovuti controlli. Oggi, difronte ad un atto esecutivo, si cerca di recuperare attraverso un interessamento incredibilmente fuori tempo e non in linea con quanto sarebbe stato possibile fare prima del provvedimento giudiziario.

Ancora una volta la politica, quella vera, è una lontana chimera per carenza di uomini, di competenze specifiche e spesso anche per un infinito e smisurato senso di potere che, attraverso fazioni e consensi ottenuti da un popolo spesso distratto, quando non assente, viene concesso solo per simpatie, parentele e qualche volta per favoritismi.

Piccole cose di pessimo gusto diceva Gozzano riferendosi ad un mondo che nascondeva le proprie lacune dietro affabulazioni e progettualità prive di contenuto e di significato.

E così una famiglia che ha investito risparmi per poter aver un tetto sicuro, anche se con l’illegittimità perpetrata, si trova a distanza di anni, quando già ha preso possesso della casa e svolge nel suo interno la vita ordinaria, senza che nessuno le ha impedito di farlo e senza aver mai interrotta la costruzione del manufatto irregolare, a dover abbandonare quella casa e ad aver così anche perso i risparmi che hanno consentito la sua costruzione.

E nel mentre si perpetrava l’abuso dove erano gli organi competenti deputati ad evitarlo o a farlo abbattere nel momento stesso della sua prima realizzazione?

Tutti come sempre chiudono gli occhi lasciando al tempo ed agli altri gli oneri e i problemi. E così anno dopo anno, case dopo case, abusi dopo abusi, si è perpetrata quella illegalità diffusa che è divenuta non solo consuetudine, ma addirittura espressione di un permessivismo che non ha trovato argini. Non è solo questa l’unica situazione complessa di tipo urbanistico, ve ne sono moltissime altre che attendono una risoluzione che da oltre trent’anni naviga nella più totale confusione e che si intreccia tra le maglie di varie autorità, ciascuna delle quali non solo non decide, ma non è stata e non lo è ancora oggi in grado di indicare delle linee guida capaci di sopperire alle esigenze crescenti della popolazione, in linea con la salvaguardia di quello che oramai resta e non in conflitto con l’amministrazione di turno. E così si è finito con il vietare tutto concedendo di fare tutto nella più assoluta incapacità di gestione e di controllo.

Ancora una volta come in tanti settori, come ad esempio la sanità, uno Stato assente incapace di una programmazione sostenibile e di far rispettare regole e leggi. D’altronde la pandemia è stato l’esempio più evidente della carenza di capacità di gestione e controllo del territorio lasciato assolutamente in balia dell’iniziativa individuale e della capacità gestionale del singolo cittadino con uno scarso, se non finto controllo, dei provvedimenti adottati.

Non è più tollerabile continuare ad occuparsi delle cose ordinarie, di quello che accade giorno per giorno lasciando morire lentamente un territorio e aprendo una strada senza ritorno. E’ tempo di progetti sostenibili anche senza il consenso, anche scontentando la popolazione, anche imponendo rispetto di regole e un nuovo senso civico.  La capitale della cultura non può presentarsi alla Nazione con la sua incapacità di possedere quella cultura che consente di tracciare linee di programma e di sviluppo. Non può e non deve presentarsi in quella condizione decadente che dà l’idea di qualcosa che è stato, che avrebbe potuto essere, ma che non può più essere. Non deve lasciare l’immagine di un disordine di comportamenti e di gestione del territorio. Quando si ha l’ambizione, che personalmente ritengo in linea con la storia della nostra Isola, di divenire a livello Nazionale l’immagine della cultura, bisogna che si comprenda e si faccia comprendere a tutti che qualcosa deve cambiare nel modo non solo di vivere il territorio, ma soprattutto di utilizzarlo e di immaginare il suo futuro. E’ necessaria una politica di educazione e rispetto di ciò che appartiene a tutti poiché quello che è di tutti va attenzionato, conservato e preservato da tutti. Lo spazio, quello che è fuori la propria abitazione deve divenire, per così dire, spazio comune nel quale si applicano le stesse regole protezionistiche e di salvaguardia del proprio spazio. E la classe dirigente, quella a cui spetta il compito di gestione, ma soprattutto di indirizzo, cosa che si dimentica molto spesso, deve ricordarsi che ci si alza la mattina per programmare il futuro non per gestire solo un presente.

Voglio ricordare che per cultura si intende tutto ciò che necessita, come formazione all’uomo, sul piano morale e intellettuale per raggiungere una consapevolezza che gli consente di vivere in una società. Ecco perché gli insegnamenti e soprattutto gli esempi sono parte essenziale e insostituibile di questa formazione.

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