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Raccontare il presente, capire il futuro

Non siamo la società del merito, siamo la «Società degli Idoli»

DiRedazione Procida

Ott 28, 2022

Eliana de Sanctis – Se ci fossimo stati per davvero nel 1922, avessimo parteggiato per il popolo e fossimo stati insegnanti in una scuola non propriamente d’élite, sì che avremmo potuto compiere il miracolo: «istruire per istruire», liberi dal gravoso obbligo di «mettere il voto».

Ci saremmo trovati all’interno di una società genuina, non eccessivamente artefatta, che guardava alla cultura come alla via della redenzione e, per quanto bizzarra, l’iniziativa coraggiosa di “regalare” sapere senza pretendere una dimostrazione didattica, se guardata di sbieco dall’alto professore borghese, avrebbe trovato un terreno fertile che l’avrebbe accolta.

La stessa Storia è testimone di figure intellettualmente altissime, come la filosofa e mistica francese Simone Weil (1909-1943) o il presbitero e pedagogista italiano Lorenzo Milani (1923-1967) che hanno praticato questa forma d’istruzione, l’unica (forse) che in quell’epoca avrebbe potuto risanare gli squilibri sociali dovuti alla condizione di nascita.

Ma nel 1922, checché ne diciamo, non ci stiamo. E se un insegnante, oggi, decidesse di fare lezione rifiutandosi di emettere una valutazione finale sugli studenti, non avrebbe lunga vita all’interno del sistema scolastico.

La scuola è un microcosmo della società, e ne riflette di volta in volta ambizioni e valori. L’architettura sociale guarda al basso sperando che da lì possano emergere elementi in grado di tendere all’alto; la totalità delle risorse di cui dispone viene impiegata nella cura e maturazione di quel talento, tenacemente riconosciuto con forme di approvazione e di merito.

La scuola è strutturata per riconoscere meriti, è questo il compito che la società le ha affidato. Definire meriti corrisponde però a operare selezioni, quindi a scollare di passo in passo il talentuoso dal resto dei mortali. Procedura questa di cui la scuola non solo “non si pente” (non sembra interrogarsi sulla condizione emotiva di coloro che “stanno a guardare”), ma che addirittura promuove attraverso l’incentivazione di premi, borse di studio, competizioni, opportunità extrascolastiche per chi (solo per chi) è reputato bravo.

Ma chi è reputato bravo… è bravo per davvero? Si entrerebbe qui in un territorio dialettico insidioso e sconfinato. È chiaro che si tratta di un giudizio il più delle volte emesso in base a canoni arbitrari, che non ne garantiscono la validità universale: “bravo” non necessariamente significa “bravo per tutti e in assoluto”.

A dispetto della crudeltà di queste macchinazioni, la selezione nella scuola avviene da sempre; per la salvaguardia dello studente geniale (di cui la scuola di frequente si forgia quasi fosse una bandiera per esaltare la propria immagine), vengono immolati sogni, motivazioni e speranze di tutti gli altri studenti normali che spesso si arrendono a un destino mediocre perché sfiduciati dalle logiche di un sistema che, anziché meritocratico, si dimostra ingiusto.

Ben oltre le mura dell’istituto scolastico, però, c’è un mondo che è disposto ad onorarlo ed accoglierlo: non passa un giorno senza che i media diffondano la notizia del piccolo genio di turno che ha battuto il nuovo qualsivoglia record di turno. La scuola ha offerto alla società il cibo di cui si nutre: la creazione dell’idolo.

Non una meritocrazia sana, dove il talento viene curato e promosso con umiltà, attraverso pari opportunità (reali) per tutti i giovani, ma con l’insano clima stressante e competitivo dove spesso al genio posto sempre più in luce fa da contraltare una schiera sterminata di invisibili. Un equilibrio spezzato all’improvviso dal tonfo di un corpo che cade: è l’ennesimo studente che ha pensato di non essere abbastanza, e che si è arreso.

All’indomani dall’elezione del Governo presieduto da Giorgia Meloni, ci si sconvolge per il nome di un Ministero come se fosse questo l’artefice dell’incentivazione della meritocrazia malata, mentre è la società stessa che contribuisce a ricercare talenti come strada per l’autocelebrazione. Una società narcisistica che è l’aguzzina dei suoi figli, che al ruolo confortante e materno di promuovere meriti preferisce creare degli idoli da porre alla cima del mondo, quasi fosse le nuove, inarrivabili, idee di Platone.

«Voi siete lì sulla terra e loro sono in cielo, e vi guardano», sembra sussurrino.

E «voi» vi emozionate a guardarli, ve ne compiacete, senza accorgervi che è stato deciso che quel posto non è per «voi».

Quasi vi fate gradassi con il vostro vicino, perché «guarda X, lui/lei sì che…, mentre tu…»

Ma «voi» restate sulla terra, e «loro» restano nel cielo.

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