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Sposarsi e fidanzarsi in punto di morte. A Napoli e a Procida tra Cinquecento e Seicento

DiRedazione Procida

Feb 5, 2023

Giovanni Romeo – Una delle scene più celebri di una famosa commedia di Eduardo De Filippo è il matrimonio tra Filumena Marturano e il suo ricco amante, che si piega a quella decisione malvolentieri, solo perché è convinto che la donna sia davvero in fin di vita. Ma è una trappola costruita abilmente: Filumena sta benissimo e riuscirà ad incastrare l’uomo.

            Quella storia, scaturita dalla fantasia e dalla sensibilità di un grande artista contemporaneo, rispecchia con precisione contraddizioni e problemi ben documentati in tutta l’Italia moderna. Ne sono rimaste cospicue tracce, pur se a macchia di leopardo, in tutto il Sud. L’episodio più straordinario che conosco capitò nel 1589 proprio a Napoli, anche se le circostanze e le conclusioni della vicenda differiscono radicalmente dalla storia di Filumena.

            Lucza (Lucia), una giovane cortigiana greca, è in fin di vita. Sono vicini a lei, nella casa ‘aperta’ di una donna pubblica, oltre alla madre, amici, vicini, clienti. Non c’è solo il dolore e il dispiacere per la triste situazione. Tanti presenti, a cominciare dalla madre, sono lì anche per chiedere al parroco della Chiesa dei greci, regolarmente avvisato dell’emergenza, di concederle la comunione e l’estrema unzione. L’ecclesiastico però è irremovibile. Se la donna non è in grado di parlare, non c’è niente da fare: la sua vita disordinata è sotto gli occhi di tutti.

A quel punto la madre convince uno dei più affezionati amici della giovane a dichiarare che Lucza e lui avevano deciso di sposarsi e a chiedere al sacerdote di assecondare il loro desiderio, di celebrare in extremis quel matrimonio. Detto, fatto. Il sacerdote pone come condizione irrinunciabile che la giovane sia in grado di esprimere il consenso, ma poi chiude un occhio: prende per buono un lieve movimento della testa della giovane, indotto dalla madre, e dichiara i due marito e moglie.

Dopo un po’, però, la donna rinviene, si ritrova con un anello al dito, chiede spiegazioni e quando le raccontano del suo matrimonio reagisce con violenza, gettando a terra l’anello e protestando vivacemente per l’accaduto: voleva essere lei, dice ai presenti, a decidere se e quando sposarsi, oltre che con chi. Superfluo aggiungere che il matrimonio fu dichiarato nullo, e rapidamente.

Il secondo caso, capitato a Procida nel primo Seicento, è solo in parte diverso, ma non è meno istruttivo. Nell’aprile del 1627 una vedova isolana, Prudenza de Massa, chiede alla Curia di costringere Leonardo Scotto di Pietro, un giovane conterraneo, a sposarla. A suo dire, lui, che glielo aveva promesso da tempo, era anche il padre di una sua bambina, nata alcuni mesi prima.

Le cose erano però un po’ più complicate. L’iniziativa, da cui scaturì una causa matrimoniale, era solo l’estremo sviluppo di una relazione tormentata e difficile, sfociata pochi mesi prima, nel dicembre del 1626, in una misteriosa aggressione a Leonardo.

Ferito gravemente alla testa da sconosciuti, l’uomo era rimasto per alcuni giorni tra la vita e la morte, in un andirivieni di medici, chirurghi, confessori e giudici, tutti incapaci di strappargli qualche parola e tutti seriamente preoccupati per la sua sopravvivenza.

Proprio pochi giorni dopo, infine, Prudenza, la vedova con cui aveva una relazione, aveva dato alla luce una bambina e aveva subito coinvolto il curato e il padre di Leonardo, pregandoli di chiedere all’uomo quale nome voleva dare alla neonata e se intendeva sposarla.

Secondo i due, il giovane, che stava ancora molto male, dopo aver indicato i nomi a lui più graditi, aveva accettato la promessa di matrimonio, ‘per honore di Prudenza vedova’. Il curato si era anche dato da fare per diffondere quella consolante notizia nell’isola…

Quando però, dopo qualche settimana, il sacerdote, venuto a sapere che il giovane era in grado di parlare, si recò da lui per avere la conferma delle sue scelte, Leonardo rifiutò seccamente sia di ammettere la sua presunta paternità, sia di sposare la donna. Il curato lo minacciò (lo avrebbe fatto per forza, gli disse) e se ne andò.

Ci volle poco però ai giudici per chiarire che, rimasto a lungo tra la vita e la morte, mai in quello stato Leonardo avrebbe potuto riconoscere la neonata come sua figlia e promettere il matrimonio. Per il medico ‘diceva qualche parola storduta’, secondo due vicine ‘sbariava’, mentre il confessore assicurò ‘che non rispondeva a proposito’. La causa però non fu coltivata per oltre 13 anni, per motivi ignoti.

Nel 1641, invece, un po’ a sorpresa, fu Leonardo, forse deciso a sposare un’altra donna, a chiedere alla Curia di rimuovere l’impedimento. Il vicario generale in un paio di mesi gli diede ragione. Servì a poco l’ennesima istanza del legale di Prudenza, che evidentemente in tanti anni non aveva trovato marito e controllava le mosse dell’ex.

L’intricata vicenda, malgrado tutto, non si concluse con il matrimonio di lui, almeno a Procida. Di Leonardo non c’è più traccia nell’archivio parrocchiale dell’isola, segno che forse l’atto di violenza subito tanti anni prima, verosimilmente attribuibile a sicari prezzolati dalla famiglia di Prudenza, gli aveva suggerito di cambiare aria, di abbandonare per sempre l’isola.

Non a caso, peraltro, a Procida, proprio nella seconda metà di quel secolo di straordinaria crescita economica e di forte sviluppo demografico, nei registri parrocchiali di curati sempre più attenti alla vita quotidiana cominciarono a figurare anche accenni a uomini e donne assassinati.

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