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San Michele: restituiamo alla comunità la processione mancata

DiRedazione Procida

Mag 11, 2024

Sebastiano Cultrera – Mi appassiona molto scrivere, in maniera irregolare, lo so, gli editoriali per il Dispari e per il Tg Procida, e ringrazio sempre perciò il grande Gaetano di Meglio e l’amico Leo Pugliese per avermi accettato nella loro proposta editoriale.

E mi diverte, anche. Ma talvolta ti accorgi che nel tempo cominci ad assumere delle responsabilità. Quella vera ed evidente è sopportabile e anche immancabile: cioè, la responsabilità di quello che si scrive. E vi confesso che non è sempre facile rende razionali pensieri e sentimenti cercando di rendere partecipe il prossimo. Magari senza ferire nessuno e cercando di cogliere le ragioni in campo, anche se variegate.

Ma c’è un’altra responsabilità indotta, attribuita dall’esterno, che si fa più fatica ad accettare, e, dico la verità, è quella che pesa di più; anche perché, quasi sempre, sfugge alla mia, e nostra volontà di far cronaca e approfondimenti. Si tratta di ciò che NOI NON SCRIVIAMO.

E scopri così che ciascun lettore, o presunto tale, ha una propria scala di priorità nel palinsesto dell’informazione locale. E, de visu o tramite messaggi, ti incalzano spesso: “Questo fatto non l’hai raccontato”; “Questa (presunta) malefatta l’avete nascosta e non denunciata”; oppure: “E questa vicenda non meritava un rigoroso approfondimento?” ; fino a giungere all’accusa di “autocensura della stampa locale”.

Nell’epoca dei social imperanti queste accuse sono ovviamente risibili e non volevo, oggi, aprire una indagine sociologica su questo tema. Ma di un (imprevisto, per me) fenomeno scatenatosi nelle ultime ore: una plurima protesta, molto vibrata. L’oggetto è l’esito della processione di San Michele, confinata, nel giorno del rinvio, ieri l’altro, ad una breve “passeggiata” nel borgo dell’acropoli dell’isola.  

I messaggi che ho ricevuto sono del tenore del “Neanche i Saraceni riuscirono a confinare San Michele nell’abbazia e poco più. Ci sono riuscite le autorità locali: civili e religiose.” Una roba del tipo : “Quod non fecerunt Barbari fecerunt Barberini.” Oppure: “Hanno fatto il varo della nave di soppiatto, fregandosene delle famiglie coinvolte e di tutti coloro che erano interessati”.

E ancora “Hanno fatto tutto in funzione del sindaco francese e per non turbare la festa del limone” , sbrigando, quindi, frettolosamente la pratica della processione solo per favorire le foto sui social.  E questa è una accusa ripetuta, purtroppo. Magari di coloro che non amano né la Francia né i Limoni.

Naturalmente avrei rispettato il silenzio su queste (più o meno) pretestuose proteste. Se non fossero esse stesse significative di uno spaccato di vita procidana da tenere in seria considerazione.

Ora cominciamo col dire che è vero che si è delusa l’aspettativa di tanti (anzi tantissimi) procidani che erano pronti, alle finestre e per la strada ad accogliere il passaggio dell’Arcangelo e ad entrare nella sua sintonia, desiderando la sua benedizione e la sua indulgenza per sé, per la propria famiglia e per l’isola tutta.

C’è un sentimento carsico che lega, nel profondo “l’isola micaelica” al suo santo protettore, e si tratta di una sintonia atavica. Dal punto di vista mediatico (e noi per primi lo facciamo) viene più celebrata la processione dl Venerdì Santo, anche tramite la partecipazione popolare già nell’organizzazione, a partire dai “misteri”.

E dal punto di vista liturgico la successiva processione del Corpus Domini pure fa la parte del leone. Ma San Michele è la vera anima dell’isola di Procida e ciò non dobbiamo dimenticarlo.

Anche perché è l’emblema delle vittorie: dei procidani contro i turchi e, in definitiva, del bene contro il male. Certo le passioni tristi prevalgono (anche in forza partecipativa) sulla gioia delle vittorie, soprattutto di questi tempi ( e non sto parlando dei tifosi del Napoli…). Temo sia un tratto culturale connaturato alla decadenza dell’Occidente e particolarmente sentito in Italia, al Sud e nella nostra isola.

Ma la devozione dell’Arcangelo Michele è antica. Ebbe grande impulso nell’epoca longobarda e a Procida le prime tracce di quella devozione sono legate a Giovanni da Procida ( la cui famiglia risulterebbe , appunto, longobarda). La cappella dell’arciconfraternita di San Michele Arcangelo nel duomo di Salerno (detta delle Crociate) fu voluta dal medico salernitano, la cui figura in piccolo è disegnata nel mosaico che vede campeggiare, in alto, una splendida immagine di San Michele medievale con le ali spiegate.

Da allora fino ad oggi L’Arcangelo è il vero fil rouge della devozione popolare più autentica e ancestrale, precedente alla Controriforma.  E accade anche passando per il miracolo dell’ 8 maggio 1535 ( o 1534?), quando scacciò i saraceni (che erano sempre i turchi ottomani) gettando le fiamme contro la loro flotta minacciosa. Già da allora, Procida era un centro politico, economico e culturale di primaria importanza. Fu difesa dall’Arcangelo, ma imparò poi a difendersi meglio anche da sola, costruendo le mura dell’acropoli e a mano a mano incrementando la forza della propria marineria e le difesi militari (vedi la Fortezza di Sancio Cattolico, erta a difesa del porto e chiamata oggi Palazzo Merlato).

Insomma, la devozione a San Michele Arcangelo racconta la Storia di una Procida forte, che ha fatto la Storia: di una Procida che VINCE!  Crediamoci! Magari “restituendo” alla comunità, il giorno 29 settembre, quella processione che è rimasta confinata in pochi metri.

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