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Editoriale: Voglio una vita piena di guai

DiRedazione Procida

Set 21, 2022

Gino Finelli – La mia generazione quarant’anni fa cantava: “voglio una vita piena di guai”. Allora non sapevamo che saremmo stati accontentati, eravamo invece convinti che nella trasgressione e nella spericolatezza si poteva provare l’emozione e il senso della esistenza, ma lo credevamo sotto l’aspetto della emozionalità, mentre invece avevamo già tradito i valori e le ideologie   che avevamo rappresentato, anche con forza, negli anni 60 e 70. Non lo sapevamo, ma ci avviavamo su una strada in forte discesa verso la perdita di tutto ciò che era stato costruito per lo sviluppo, in tutti i campi, della nostra Nazione.

E così siamo arrivati a oggi, in un’epoca in cui la dismissione di tutto il costruito dal dopoguerra in poi, sia in termini industriali, che culturali ci sta trasformando nuovamente in una nazione povera. Ma la nostra povertà non è solo legata all’economia e al nostro immenso debito pubblico, ma alla mancanza di progettualità e all’assenza di una visione credibile per il nostro futuro.

La campagna elettorale di questi giorni è l’esempio più evidente di questa povertà, è la manifestazione plastica di una funzione, quella politica, che non ha più forma ed identità e dunque non è rappresentativa di nulla, poiché rappresenta il nulla. Il linguaggio povero anche nelle parole usate, frammisto a concetti ripetuti e ripetitivi, allontanano sempre più le menti pensanti dallo schierarsi in uno o in un altro raggruppamento, poiché è difficile se non impossibile, comprendere i programmi e soprattutto riconoscerne la possibilità di realizzarli.

Allora difronte a un simile guazzabuglio è complesso trovare una indicazione che consenta di esprimere il consenso. Manzoni, in quel 1821 carico di delusioni politiche, concepì i primi quadri di un romanzo assolutamente unico nell’Italia del Romanticismo dimostrando una capacità di sintesi ed una visione della realtà straordinari. Nello svolgimento degli eventi umani rimane taciuto, quel coacervo di sentimenti e progetti che portano alle decisioni “i grandi uomini che fanno la storia” o a quelle di “gente meccanica”, uomini più umili che spesso la subiscono. Ed è quel coacervo, tra verità e menzogna, che fa sì che oggi ritorna a vivere quel guazzabuglio del nostro tempo e della nostra politica e soprattutto di quelli che ci rappresentano.

D’altronde in questi anni si è assistito all’uno che vale uno, alla mediocrità che ha scavalcata la conoscenza, alla furbizia che ha preso il sopravvento sull’ intelligenza, alla menzogna che ha cancellata la verità

E così uomini, scelti da altri uomini “gente meccanica” hanno gestito la cosa pubblica finendo con il portarci in questa realtà di assoluta povertà economica, ma prima ancora di valori e contenuti. Si litiga su tutto perché non si ha nulla da dire e da proporre, perché si ha la consapevolezza che siamo oramai in un cerchio in cui contiamo poco o niente, e che chiunque dovesse vincere la competizione elettorale, rimarrà schiavo della nostra povertà.

Votare è certamente un dovere- diritto di ogni cittadino e non votare non significa contestare un sistema o un carrozzone politico non condiviso, ma solo delegare ad altri una scelta e dunque un progetto per il nostro futuro.

Se ci troviamo in questa situazione è perché non abbiamo adottato quello che gli studiosi chiamano il ‘pensiero cattedrale’: “quell’attitudine, tipica del Medioevo in cui si erigevano chiese e palazzi avendo i decenni come unità di misura”. Oggi anche gli scienziati, come Helga Nowothny, autrice de “Il pensiero della cattedrale può fornirci un punto di ancoraggio in futuro» ritiene ancora valido quel pensiero.

Nel mondo della cultura e nella società civile, è sentita e crescente la domanda di una politica ‘altra’ e ‘alta’, in grado di programmare un futuro. Leonardo Becchetti, ha promosso un manifesto che ha trovato molti consensi nella società civile: «Ciascuno porti il proprio mattone per costruire la casa comune. La classe politica ha bisogno di nuove persone competenti e coraggiose, capaci di liberare speranza e sogni». Una sfida epocale di cui comprenderemo la sua possibilità di realizzazione solo dopo il 25 settembre.

Noi possiamo solo chinare per così dire la fronte e affidarci, per ritornare a Manzoni, al Massimo Fattore.

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