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Tra Procida, Malta e il Mediterraneo. A proposito di un fidanzamento settecentesco

DiRedazione Procida

Mag 14, 2023

Giovanni Romeo – Lo straordinario sviluppo economico e demografico che arricchì e popolò in misura enorme Procida nel Settecento ebbe anche numerosi riscontri in svariati aspetti della vita associata. I registri parrocchiali e le serie giudiziarie, non solo quelle ecclesiastiche, sono uno specchio tra i più vivaci di questa nuova fase della storia isolana, a cominciare dai fidanzamenti e dai matrimoni. Rispetto al Seicento, quando i legami affettivi tra isolani e forestieri sono pochi e per lo più circoscritti a persone abitanti nei dintorni, nel Settecento la situazione è molto diversa. La forte crescita del naviglio procidano e dei suoi traffici marittimi, combinata con l’impetuoso sviluppo demografico, favorì la fioritura di rapporti di ogni genere, e anche di storie d’amore.

Le disavventure sentimentali che costarono verso la metà del secolo molti intrighi e sofferenze inaudite ad Andrea Mainardi, un giovane toscano che lavorava a Procida come chirurgo, furono soltanto uno dei tanti intrecci amorosi di questo tipo arrivati fino a noi. In essi occupano un ampio spazio anche l’accresciuta mobilità dei marinai e le tensioni nuove che ne scaturivano, soprattutto nei rapporti con le isolane. Queste ultime furono sfidate sempre più spesso dalla concorrenza di donne lontane e sconosciute, sparpagliate tra Sicilia, Sardegna, Malta e altri porti familiari ai bastimenti locali.

Una decina d’anni dopo le travagliate vicende del chirurgo toscano, un vivace intreccio amoroso, in cui il mare ebbe un ruolo di primo piano, coinvolse una coppia isolana. Nel 1763 un marinaio di Procida, Arcangelo de Majo, presentò nella Curia arcivescovile di Napoli una richiesta di impedimento matrimoniale contro una conterranea ventunenne, Margherita Scotto di Clemente: aveva saputo che la giovane intendeva sposare un altro, calpestando, a suo dire, gli impegni assunti da tempo con lui.

Tre anni prima, infatti, Arcangelo aveva raggiunto un accordo con Ignazio, il padre della ragazza: si sarebbe sposato con la figlia entro un anno, purché l’uomo gli avesse versato 225 ducati – una cifra piuttosto rilevante – a matrimonio avvenuto. Nessuno dei due, però, aveva ritenuto opportuno ufficializzare quell’impegno anche davanti alla Chiesa. In ogni caso, a detta del giovane, Margherita era venuta meno all’impegno e stava addirittura per sposare un altro. Perciò le autorità diocesane, come al solito, disposero che il nuovo matrimonio della ragazza non fosse autorizzato.

Ben diversa fu la versione di Margherita: non appena ebbe ricevuto la notifica dell’impedimento chiesto e ottenuto dal giovane, si presentò spontaneamente in Curia per dire la sua. Chiese che il provvedimento adottato contro di lei dalle autorità diocesane fosse revocato, per poter sposare il nuovo fidanzato. La sua ricostruzione dell’esperienza sentimentale vissuta fu minuziosa e matura, caratteristica di un’età – il Settecento – in cui i costumi dei giovani isolani erano diventati più liberi rispetto ai rigidi modelli di comportamento tradizionali.

La ragazza non ebbe infatti difficoltà alcuna ad ammettere che era stato suo padre Ignazio, un anziano vedovo carico di figli, a raggiungere l’intesa con Arcangelo, per poter essere libero di risposarsi senza troppi gravami (aveva anche un’altra figlia cui badare, ed era una ‘monaca di casa’, cioè una bizzoca). Perciò inizialmente, dichiarò, non aveva dato ‘positivo consenso’ alla scelta del padre, pur senza ostacolarne l’iniziativa.

Probabilmente quel marinaio benestante adocchiato da Ignazio non le piaceva per niente. Col tempo, però, si era convinta anche lei della ragionevolezza della strategia paterna. La possibilità di crescita sociale garantita dal matrimonio con un giovane imprenditore marittimo aveva forse fatto breccia nelle sue resistenze. Anche se non stravedeva per Arcangelo, alla fine non era una cattiva idea assicurarsi grazie a lui una vita più agiata della sua: Margherita veniva da una modesta famiglia di marinai…

            Dopo quell’avvio promettente le cose però erano precipitate, sino a far andare in fumo l’accordo siglato nel 1760. Le tre tartane possedute dalla famiglia di Arcangelo si erano perse con tutto il carico, e già dopo il disastro delle prime due il giovane, pieno di debiti e ricercato dai creditori, aveva dovuto cominciare a vivere in clandestinità, per non marcire in un carcere… Proprio in quella fase difficile, negli spostamenti continui (in Sicilia, a Malta, ad Amalfi) ideati per sfuggire alla cattura, Arcangelo aveva anche promesso a una ragazza maltese di sposarla.

Di fronte a quel nuovo scenario Margherita ruppe gli indugi. Restituì prontamente alla madre dell’ex fidanzato i regali avuti, e la donna non ebbe alcuna esitazione nel riprenderseli. Alla fine, però, a dare il colpo finale alla fragile trama di un rapporto ormai tramontato era stato poi suo padre: si era risposato e aveva deciso di chiamarsi fuori per sempre da quella storia finita male.

Tuttavia, quando il tribunale avviò la fase cruciale del procedimento, invitando le parti a documentare le proprie ragioni e ad indicare eventualmente i testimoni informati sulla controversia, la prima a muoversi fu proprio Margherita. Il suo avvocato presentò una serie nutrita di domande da rivolgere ai testimoni da lei indicati. Fu così che dalle loro deposizioni scaturì un quadro vivace della vita quotidiana a Procida, ma anche degli intensi rapporti tra i marinai isolani e le comunità costiere del Mediterraneo… (continua)

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