Sebastiano Cultrera – Non è solo un libro, e neanche soltanto una dichiarazione di amore: l’ultimo lavoro letterario della scrittrice, e giornalista, Giuseppina De Rienzo è entrambe le cose, ma anche una “antologia” delle emergenze culturali della nostra isola compiuta con la giusta distanza dell’intellettuale e con la giusta vicinanza di un amante.
La chiave della conoscenza è l’entusiasmo. Senza quell’entusiasmo si può entrare in contatto con tante cose e con tante vicende, ma non si riesce a comprenderle. L’entusiasmo è il motore e l’anima dei desideri e l’approccio di Giuseppina De Rienzo verso Procida è densa del desiderio ripetuto di entrare nella carne viva dell’isola. E ci riesce, tirandone fuori il meglio, e continuando a cogliere, di fiore in fiore, le fonti e gli intermediari delle tante suggestioni che l’isola ha offerto ed offre.
Per questo la De Rienzo capisce l’isola come pochi altri, e la racconta in una serie di pennellate dai toni diversi, ospitando personaggi diversi, con storie e punti di vista diversi che riconducono, tuttavia, ad una medesima narrazione.
Non è un libro che parla dell’isola di Procida: io ho colto soprattutto un messaggio che PARLA ALL’ISOLA stessa. Perché l’approccio non è nostalgico, né celebrativo, né evocativo.
Mi è piaciuto proprio per questo. E perché non dà prescrizioni morali: non è pessimista, né ottimista. Non indugia a consigli o raccomandazioni per l’isola. Registra l’importanza di viverla, nella maniera più naturale, e di immergervisi senza pregiudizi. Perché, in maniera avveduta e sensibile, ella non cade nella facile trappola in cui tanti (procidani e non) che scrivono dell’isola cadono: quella di cercare di affibbiarle una definizione. Che riduce il tutto, inevitabilmente, ad una semplificazione. Soprattutto i “frastiere” (e peggio ancora i villeggianti) difficilmente scapolano quella trappola. Che nasce spesso da uno equivoco di base. Quello, cioè, di stimare l’isola di Procida partendo dalle sue caratteristiche geografiche, che condurrebbero a caratteri piccoli e limitati dell’isola. Invece Procida è un micro mondo complesso ed articolato; ed anche dialetticamente contraddittorio. E, soprattutto, essa NON E’ limitata dal mare, ma lo comprende e ingloba, rendendola sconfinata, come è lo stesso mare.
Il raro merito di Giuseppina De Rienzo è quello di averlo sempre capito. E il suo libro lo racconta, e in una intervista con la siriana-palestinese Suad Amiry, viene sottolineato proprio questo: “Procida è spontanea e primitiva, nel senso positivo del termine. A prima vista sembra una minuscola isola, poi ti accorgi che è mille alte cose…”.
Di Procida, Giuseppina propone affreschi che sono, quindi, fatti di pennellate di colori diversi, proprio perché l’isola è un arcobaleno e non è limitata ad un unico colore. Ma per stile, per delicatezza, per sagacia letteraria, si colgono i toni pastello della sua scrittura, che non è mai aggressiva, né mai eterea. È concreta nella sua poesia e poetica nel racconto del reale, mutuando (consapevolmente?) lo stupore dalla grande Elsa Morante, che diede una descrizione alquanto fantasiosa dell’isola. E per questo più vera!
D’altronde il fil rouge della narrazione sembra essere proprio quella di seguire le orme di Arturo, anzi di seguire lui: “il ragazzo di Elsa Morante, sapere se e come è cambiato, dove si nasconde nei volti e nei gesti dei procidani d’oggi”.
Mostrando un caleidoscopio di persone e narrando luoghi e fatti tra loro intrecciati, ma con capitoli che dipanano tutti lo stesso filo. Ne cito solo uno: Libero De Rienzo, grande attore e uomo libero, che amava la libertà e aveva scelto e vissuto la nostra isola come uno spazio di libertà, operando concretamente perché ciò fosse riconosciuto universalmente. Evidentemente Libero avrà conosciuto, ed amato Procida seguendo il percorso della zia. Anche per lui fu amore. Forte e reciproco. E Procida lo ha perso come si perde un figlio proprio.
Tanti altri personaggi appaiono nella narrazione, ma sembrano solo pretesti, media involontari della rappresentazione, realistica e fantastica, come detto, dell’isola da parte della scrittrice.
Giuseppina ha un grande rispetto per l’isola, che le meriterebbe, da parte di Vittorio Parascandola (il sindaco che volle Il Premio Elsa Morante), il “grado” di frastiere particolarmente amica dell’isola, per salvaguardarla da quello più invadente, (e spesso antipatico e superficiale), di villeggiante. Ma l’entusiasmo con cui approccia l’isola la rende piuttosto una tifosa, un poco vittima di un “invasamento divino” per la nostra isola. Non solo per la lettera dell’etimo di quell’entusiasmo, ma perché si conferma in un approccio che irrazionalmente porta ad amare TUTTO dell’isola, anche e soprattutto i suoi difetti, le incongruenze, le disfunzioni.
Sì, nel libro si evidenziano pure i problemi, più o meno risolti, di un’isola italiana, campana e flegrea, con le meraviglie e le problematiche (politiche, tecniche, ambientali e sociali) di tali coordinate. Procida non vive una condizione di extraterritorialità. Ma, sbarcando a Procida si ha subito la sensazione di stare fuori dal tempo ordinario e di essere entrati in una dimensione fantastica. Quella dimensione che, in punta di penna, intinta nell’inchiostro del cuore, riesce a raccontare Pina De Rienzo.