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INDI GREGORY, QUANDO LA SCIENZA NON PASSA PER IL PENSIERO

DiRedazione Procida

Nov 20, 2023

Eliana De Sanctis – La storia di Indi Gregory, la bambina inglese morta in seguito alla decisione dell’Alta Corte della Gran Bretagna di staccare le macchine che la tenevano in vita, ha sconvolto l’opinione pubblica per la sua arbitraria crudeltà. Alla piccola di appena otto mesi era stato diagnosticato un male incurabile e i giudici hanno sentenziato fosse inconveniente un prosieguo di vita per lei.

Il dramma ha smosso nel profondo le coscienze della gente comune, che si è trovata a fare i conti con un dilemma etico sconvolgente: può l’essere umano detenere un potere sulla vita di un altro essere umano? Può arrogarsi il diritto di stabilire cosa significhi vivere e cosa sopravvivere, giungendo a decisioni che un tempo sarebbero toccate soltanto a Dio?

L’anima cattolica della nostra cultura ci fa già trovare una risposta, che è ovviamente negativa. Nessun uomo, diremmo d’istinto, può avere l’ultima parola sulla vita di un altro e questa rimane sacra in tutte le sue forme, sia nella floridezza della salute e della gioventù che nelle brutture della vecchiaia e della malattia. Ma poi, da qualche parte della nostra mente, si figura una riflessione: stare male ogni giorno, vegetare, soffrire sapendo che il nostro destino non muterà… può corrispondere a vivere? E un operatore esterno che è ben conscio di questa situazione irreversibile fino a che punto sbaglia nell’ “intromettersi” se dalla sua decisione può dipendere la cessazione del dolore?

Questo ulteriore passaggio è figlio di un influsso ideologico molto potente che investì il mondo occidentale durante il Settecento: è il cosiddetto Illuminismo. Molto della nostra storia contemporanea lo dobbiamo a quell’epoca, che è stata capace di immettere nello spirito di interi popoli una consapevolezza importante: è l’uso della ragione che rende libero un uomo.

La diffusione di valori laici come il rispetto della vita di per sé, la solidarietà verso gli oppressi, il riconoscimento della pari dignità di tutti gli uomini, affonda nel precetto illuministico per cui non occorre che una qualche autorità imponga dall’alto ideali o norme, perché questi diventano evidenti di per sé nel momento stesso in cui ci si affida alla luce del pensiero.

Stando a queste conclusioni, l’atto finale della storia di Indi Gregory non avrebbe dovuto suscitare indignazione, come invece è stato; e questo perché, diversamente da come apparirebbe, nel caso della bambina inglese la scienza ha operato senza utilizzare la ragione.

La scienza avanza sistemando dati, la ragione costruisce il senso della realtà articolando concetti; spesso si fondono, dando vita a invenzioni e scoperte straordinarie. In altri casi restano separate, e la scienza si illude di possedere da sé tutti gli strumenti per far progredire il mondo, non accetta confronti, si chiude in un’autoreferenzialità quasi impenetrabile.

E così è stato, purtroppo, nel caso della piccola Indi, per la quale la scienza aveva già tutte le risposte, ed erano risposte senza speranza. Non si è saputo o voluto guardare oltre, alle braccia aperte di chi offriva aiuto, a sistemi di pensiero che considerano la lotta per la vita un’azione più nobile e di gran lunga superiore a manovre utili alla semplice rimunerazione finanziaria.  

Insomma, lo scandalo della storia di Indi è che la scienza a volte non passa per la ragione. E che con la scienza ma senza la ragione non siamo uomini, ma poco più che animali tecnologizzati.

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